Ancora una volta Ernesto ci diverte con i suoi scritti.
Questa volta si è lasciato cullare dai ricordi e ci regala una serie di racconti di personaggi della sua infanzia e gioventù.

Tornano a rivivere fra le vie del paese e le sponde del lago il “Cicin”, suo compagno di pesca, il “Rizet” epico sindaco di Biandronno a capo della “Repubblica del Cremlino”, il “Duturasc”, Il “Mutilato”, il “Muto” e molti altri.

E con loro ci perdiamo nelle storie del giovane che trasporta a spalla una timida ragazza fra i canali della palude, nelle battute di caccia e nei racconti della “zia Netta” nelle sere fra la macchina da cucire e le ricette di cucina.
Fanno capolino, racconti nei racconti, i modi di vivere e i mestieri di allora inesorabilmente cancellati dagli stili di vita di oggi. Così ritroviamo il Sacrista a governare il suono delle campane per i funerali e i matrimoni, la Pescivendola con la gerla in spalla a portare il pesce nei paesi lontani dal lago e gli uomini della palude intenti nella cava della torba e nel beneficiare della fauna e della flora presente.

Ma nel libro trovano spazio anche le sue poesie, o poesiole come lui meglio le definisce, che completano il quadro di una vita spesa ad osservare e a comprendere la natura, che si tratti del lago e dei suoi abitanti così come del genere umano poco importa.
Poesie semplici forse, sicuramente lontane dagli schemi che, come dice Ernesto “sono soltanto delle composizioni verbali nate da emozioni provate nei casi della vita ordinaria, o attraverso qualche lettura più suggestiva” che dovrebbero “far risuonare la stessa emozione nella lettura”.

Così ci si ritrova a tratti a sorridere divertiti dei modi rudi della vita contadina e di paese, ormai persi nei ricordi di altri tempi, e subito dopo quasi risucchiati fra le pieghe di una emozione, messa in versi, da sorseggiare, forse con un po’ di malinconia, come si fa con buon vino.